I PENSIONATI LAVORATORI

 da HARVARD BUSINESS REVIEW

In Italia sono 444.000, il 2,7% dei pensionati italiani . Il 78,6% ha almeno 65 anni e il 45,4% supera i 70. Sono andati in pensione, ma continuano a lavorare in modo regolare e continuativo. Pagano i contributi e dopo cinque anni possono richiedere un adeguamento della pensione in base a quanto versato nel frattempo. In Francia sono il 7%, in Germania il 10%, in Olanda e nei Paesi nordici superano il 20%. La media UE è tra il 12 e il 15%, nell’età tra i 65 e i 75 anni. I motivi per cui i pensionati continuano a lavorare possono essere molteplici. La prima ragione è di tipo economico: per molti la pensione non è sufficiente per mantenere uno standard di vita adeguato e a proseguire l’attività lavorativa consente di integrare il reddito. Ciò è particolarmente evidente in settori come il commercio, l’artigianato e l’agricoltura, in cui le pensioni sono mediamente più basse della media. Un altro motivo è legato alla passione e alla realizzazione personale. Molti professionisti, come medici, giornalisti, ingegneri o avvocati, continuano a lavorare non per necessità economica, ma per passione. Il lavoro offre loro un senso di identità e di appartenenza, consente di sentirsi ancora utili e apprezzati. Per molti è una fonte di soddisfazione che permette di mettere a frutto anni di esperienza e di rimanere mentalmente attivi. Inoltre, rappresenta un’importante opportunità per mantenere una rete sociale, rimanere in contatto con colleghi e clienti, evitare l’isolamento che potrebbe derivare dal ritiro dalla vita attiva. Non tutti lavorano esclusivamente per denaro; molti lo fanno per sentirsi parte integrante della società e per mantenere un senso di scopo nella propria vita. O, semplicemente, perché quel lavoro è quello che sanno fare e lo fanno bene.
La scrittrice Lidia Ravera e lo psichiatra Vittorio Lingiardi hanno coniato il termine “sessalescenza” per descrivere una particolare fase della vita che si verifica attorno ai sessant’anni, in qualche modo simile ad una sorta di adolescenza senile. E’ un processo di crescita e di maturazione accompagnato da una trasformazione psicologica e fisica che porta a nuove consapevolezze e a nuove scoperte di sé. Non si tratta, malgrado l’età, di un cambiamento legato alla decadenza. Al contrario, si tratta di una rinascita.
Per le persone tra i sessanta e gli ottant’anni che lavorano regolarmente tutti i giorni, normalmente la parola “invecchiamento” non esiste. Hanno vissuto una vita piuttosto gratificante, caratterizzata da un forte senso di indipendenza e da un’esperienza lavorativa consolidata. Sono riuscite a reinterpretare il concetto di lavoro, distaccandosi da una visione più tradizionale e restrittiva, facendone un momento gratificante della loro vita. Con la pensione, molte di loro si sono allontanate da ambienti lavorativi opprimenti e hanno trovato nuove occupazioni più soddisfacenti. Altre invece hanno continuato a lavorare esattamente come prima, ma in modo ancora più libero e consapevole.
Sono persone generalmente soddisfatte della propria vita. Apprezzano la giovinezza, con tutta la sua bellezza sfacciata, ma non per questo si tirano indietro, trovando nuove forme di creatività e coltivando uno stile proprio. Fra i tratti distintivi di questa nuova categoria sociale si nota la capacità di non sentirsi limitati dall’età e di stare al passo con i tempi, utilizzando la tecnologia come se fosse stata sempre parte della loro vita. Si mantengono in contatto con i figli, anche se lontani, abbandonano il vecchio telefono per comunicare con amici tramite e-mail o WhatsApp. Sono protagonisti di una nuova fase della vita che non ha ancora un nome preciso. Se un tempo, in questa fascia d’età, si veniva considerati anziani, ora ci troviamo davanti a persone nel pieno delle loro capacità fisiche e intellettuali, che guardano alla propria giovinezza senza rimpianti, riconoscendola come un periodo fatto di cadute e difficoltà. Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un lento ma costante incremento del loro numero. Si tratta di una forza lavoro qualificata da non dimenticare. Al contrario, dobbiamo trovare il modo di valorizzarla. Perché, come scrisse George Bernard Shaw, “non smettiamo di giocare perché invecchiamo; invecchiamo perché smettiamo di giocare.”

 

 

Paolo Iacci, Presidente ECA, Università Statale di Milano

 

 

 

 

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