IL LONFO

 da HR ONLINE

Il Lonfo non vaterca né gluisce

e molto raramente barigatta,

ma quando soffia il bego a bisce bisce

sdilenca un poco e gnagio s’archipatta.

 

È frusco il Lonfo! È pieno di lupigna

arrafferia malversa e sofolenta!

Se cionfi ti sbiduglia e ti arrupigna

se lugri ti botalla e ti criventa.

 

Eppure il vecchio Lonfo ammargelluto

che bete e zugghia e fonca nei trombazzi

fa lègica busìa, fa gisbuto;

 

e quasi quasi in segno di sberdazzi

gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto

t’alloppa, ti sbernecchia; e tu l’accazzi.

 

La poesia Il Lonfo è stata scritta ormai più di quarant’anni fa, nel 1978, da Fosco Maraini, un poeta che ha inventato questi divertenti versi su quello che, si pensa, essere un piccolo animale. Inserita nella raccolta Gnosi delle fanfole, si tratta di uno dei migliori esempi di metasemantica. Se non avete mai visto Gigi Proietti che declama questa poesia, non mancate di andare su YouTube a vederlo. L’esperimento letterario ha riscosso un tale successo da essere trasformato in disco con la musica di Stefano Bollani e la voce che recita di Massimo Altomonte.

Le parole del Lonfo, incomprensibili se prese singolarmente, quando vengono associate tra di loro possono suggerire a chi le legge (o a chi le ascolta) un possibile significato logico, perché il loro suono richiama alla mente altre parole italiane o dialettali. Questo è possibile anche perché il testo deve obbedire a regole sintattiche e grammaticali proprie della lingua di riferimento. Nella introduzione a Gnosi delle Fanfole, Fosco Maraini scrisse:

«Il linguaggio comune, salvo rari casi, mira ai significati univoci, puntuali, a centratura precisa. Nel linguaggio metasemantico invece le parole non infilano le cose come frecce, ma le sfiorano come piume, o colpi di brezza, o raggi di sole, dando luogo a molteplici diffrazioni, a richiami armonici, a cromatismi polivalenti, a fenomeni di fecondazione secondaria, a improvvise moltiplicazioni catalitiche nei duomi del pensiero, dei moti più segreti» «Nella poesia metasemantica il lettore deve contribuire con un massiccio intervento personale. La crasi non è data dall’incontro con un oggetto, bensì, piuttosto, dal tuffo in un evento. Il lettore non diventa solo azionista del poetificio, ma entra subito a far parte del consiglio di gestione e deve lui, anche, provvedere alla produzione del brivido lirico. L’autore più che scrivere, propone. Se è riuscito nel suo intento, può dire di aver offerto un trampolino, nulla più.”

Quando si dice che Il Lonfo è una poesia metasemantica significa che è composta in una lingua inventata che è solo evocativa. Noi siamo sempre molto attenti alle parole, ma qui possiamo scoprire che il suono, unito con le regole della grammatica, può bastare a dare un significato a un costrutto apparentemente insensato. La poesia assume un significato in base alla capacità dell’autore di comporre un testo in grado di suscitare emozioni in chi ascolta.

Credo che Il lonfo possa essere un utile esempio per chi, in azienda, investe molto tempo in presentazioni piene di senso ma che parlano solo al cervello e non smuovono mai emozioni, non chiedendo un contributo a chi le ascolta. Si sta avvicinando il fine d’anno, tempo di cene, feste aziendali e presentazioni sull’andamento aziendale. Troppo spesso quelle presentazioni, così perfette, vengono dimenticate in un minuto. Tutti noi dobbiamo porci il tema di cosa rimarrà nelle teste e nei cuori di chi ci ha ascoltato quando quei discorsi verranno dimenticati. Una comunicazione aziendale efficace non si limita alla precisione delle parole o alla perfezione delle presentazioni, ma va oltre. Deve parlare sia alla testa che al cuore, sollecitando non solo una comprensione logica, ma anche una partecipazione emotiva. Troppo spesso, infatti, ci affidiamo a discorsi tecnici, ineccepibili dal punto di vista del contenuto, ma che mancano della forza per essere ricordati. È come se stessimo parlando una lingua che, pur essendo comprensibile, non riesce a lasciare un segno.

L’invito è a riflettere su cosa rimarrà davvero nelle menti e nei cuori di chi ci ascolta, una volta che le parole tecniche saranno sfumate. Quando comunichiamo, non dobbiamo solo puntare all’efficienza dell’informazione, ma anche alla creazione di un’esperienza condivisa, capace di coinvolgere chi ascolta e di lasciare un’eredità emotiva che dura ben oltre la fine del meeting. In un mondo in cui le informazioni sono facilmente accessibili e replicabili, la capacità di suscitare emozioni diventa il vero vantaggio competitivo. Il Lonfo ci ricorda proprio questo: ciò che ci emoziona è ciò che ci rimane.”La gente dimenticherà ciò che hai detto, dimenticherà ciò che hai fatto, ma non dimenticherà mai come l’hai fatta sentire.” (Maya Angelou)

 

 

Paolo Iacci, Presidente Eca, Università Statale di Milano

 

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