TRA ROMA E VENEZIA LE PENSIONI SI ALLONTANANO PERICOLOSAMENTE
Due ex amanti si incontrano alla stazione Centrale di Milano.
– Dove stai andando?
– A Venezia
– Che bugiardo che sei! Se dici di voler andare a Venezia vuol dire che vuoi farmi credere che stai andando a Roma. Ma io so che in realtà stai andando a Venezia. Perciò perché, dopo tutto quello che è successo tra noi, ancora menti con me?!
Oggi, quando si parla di pensioni e di mercato del lavoro, tra istituzioni e persone si perpetua un gioco paranoico, simile a quello dei nostri due ex amanti, in cui si nascondono sempre alcuni dati incontrovertibili.
A questo proposito vale la pena ricordare alcuni semplici elementi:
- Il cosiddetto “inverno demografico” tende a peggiorare. In questi anni abbiamo assistito, infatti, a un drammatico calo delle nascite: dai 1,1 milioni di nuovi nati del 1964 ai 379mila del 2023, con un tasso di natalità sceso al 6,4 per mille rispetto al 6,7 per mille del 2022. Nel 2040, la popolazione residente sarà diminuita del 4,8% rispetto al 2021, con un calo significativo nelle coorti centrali per il mercato del lavoro. Nel 2050, i giovanissimi (da 0 a 14 anni) saranno superati dagli ultraottantenni. Già nel 2040, gli italiani in età di pensionamento o già pensionati saranno oltre 18 milioni su una popolazione totale di 56 milioni. Le conseguenze di denatalità, invecchiamento, aumento dell’aspettativa di vita e pensionamento anticipato sono chiare: più di 2,5 milioni di nuovi pensionati contro 6 milioni di lavoratori in meno.
- Questo declino non è frutto di un crollo improvviso, ma di un lento e progressivo svuotamento demografico, con una situazione che è andata peggiorando anno dopo anno. La demografia, in quanto scienza basata su dati certi e variabili prevedibili, rende evidente come l’Italia sia avviata verso un declino che rappresenta una minaccia profonda per i sistemi di welfare, in particolare per il sistema pensionistico.
- La nuova emigrazione non tende a diminuire: ogni anno se ne vanno dall’Italia circa 140.000 persone. Il 70% di questi sono giovani, il 40% laureati. Attualmente gli italiani residenti stabilmente all’estero sono 5,9 milioni di persone, contro i 5 milioni circa di stranieri in Italia. I dati in nostro possesso indicano come questa forbice tenderà nei prossimi anni ad allargarsi, riducendo il numero dei lavoratori attivi in modo progressivo e sempre più allarmante.
- Per quanto riguarda il mercato del lavoro, la crisi non è causata solo dalla mancanza di competenze richieste, ma anche dal dato oggettivo delle persone che non sono nate in numero sufficiente per soddisfare il fabbisogno del mercato. Secondo un Focus di Adapt, tra il 2013 e il 2023 si è passati da un eccesso di offerta di lavoro (alto tasso di disoccupazione) a un eccesso di domanda di lavoro con una ridotta offerta di manodopera (alto tasso di posti vacanti), così che le imprese devono affrontare grandi sfide per soddisfare la domanda di lavoro.
Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a numerose riforme pensionistiche, alcune in senso restrittivo, altre favorevoli ad allargare le maglie delle pensioni anticipate. Le coorti del baby boom hanno beneficiato di normative che favorivano il pensionamento anticipato senza penalizzazioni, unite a trend demografici positivi, lunghe carriere lavorative stabili e un continuo aumento dell’aspettativa di vita. Tuttavia nei prossimi anni, se non interverranno fatti nuovi, il numero dei pensionati – classificabili come anziani/giovani – aumenterà, mentre diminuiranno i contribuenti, dato che non sono nati in numero sufficiente. Questo, unito a fattori occupazionali ed economici delle nuove generazioni, renderà insostenibile il sistema di finanziamento pensionistico a ripartizione. L’intreccio di processi come denatalità, invecchiamento della popolazione, aumento dell’aspettativa di vita e prevalenza del pensionamento anticipato preannuncia conseguenze gravi. Nessuna società può sopravvivere a lungo con un numero decrescente di contribuenti e un numero crescente di pensionati.
Affinché il sistema pensionistico possa trovare un suo equilibrio abbiamo assolutamente bisogno di:
- Una significativa ondata di immigrazione qualificata. Questo ha senso non solo per la tenuta del nostro sistema pensionistico, ma anche per rispondere alle necessità delle nostre aziende. Nel mese di maggio di quest’anno, le rilevazioni di Unioncamere ci indicano che il 48% delle ricerche di personale non sono andate a buon fine. Si tratta di una percentuale che le nostre imprese non possono sopportare, salvo perdere competitività a livello internazionale. Oggi assistiamo a un mercato globale delle merci e della finanza: non si capisce perché non pensare anche ad un mercato globale del lavoro. La migrazione è l’unica variabile demografica che può modificare rapidamente queste tendenze, mentre i cambiamenti nelle scelte riproduttive richiedono un orizzonte temporale più lungo.
- Per garantire l’adeguatezza delle pensioni, sarà necessario prolungare la permanenza nel mercato del lavoro, adottando misure che la rendano sostenibile. Ogni ipotesi di manovra che anticipi l’età pensionabile ha come unico effetto il peggioramento della situazione dei conti INPS. Saranno necessarie forme parziali di permanenza nel mercato del lavoro e una diversa partecipazione alla vita sociale e produttiva, con percorsi di lavoro e di formazione fino ai 70 anni e oltre, modulando carichi di lavoro, mansioni e orari.
- Dobbiamo riuscire ad incrementare la partecipazione attiva delle donne al mercato del lavoro, con una politica che estenda i servizi alle famiglie soprattutto con redditi bassi e figli piccoli.
- Dobbiamo ridurre il numero dei neet: negli ultimi due anni abbiamo assistito ad una loro progressiva riduzione grazie alla sola crescita economica. Non possiamo però pensare che questa si prolunghi ancora a lungo, viste le previsioni di rallentamento della crescita del nostro PIL (tutti i dati previsionali vanno purtroppo nello stesso senso). Occorre puntare soprattutto sull’orientamento, oggi purtroppo grande assente nelle politiche giovanili, e sulla riqualificazione del nostro sistema scolastico, con particolare attenzione alla formazione tecnica e a quella professionale (i dati Invalsi in questo senso sono veramente preoccupanti).
Mi rendo conto che prendere atto di questi elementi possa apparire sgradevole. Nondimeno, credo che valga la pena dirci finalmente la verità, tirando le necessarie conseguenze, anche se molte di queste possono apparire inaccettabili. A proposito di pensioni e mercato del lavoro non vorrei leggere più sui giornali dialoghi e proposte così simili allo scambio tra i nostri due ex amanti.
Paolo Iacci, Presidente Eca, Università Statale di Milano