GLI OCCUPATI NON REGOLARI NELLE REGIONI ITALIANE
In un’azienda arriva il direttore con la sua Ferrari nuova sgargiante.
Un impiegato lo vede transitare con la bellissima auto nuova ed incontrandolo poi per i corridoi lo ferma e gli chiede “Buongiorno, ho visto la sua macchina bellissima complimenti. Volevo sapere come si fa a comperare una macchina così?”
Il direttore gli sorride e gli spiega: “Ricordati ragazzo che nulla è casuale. Anche io la desideravo tanto. Ho iniziato dalla base come fai tu ora. Non ti nascondo che è dura e sarà sempre più dura.
Se non molli mai, se migliori sempre, se sei disposto ad imparare, se lavori sempre di più, se punti la tua vita sul lavoro e metti il lavoro al primo posto , se ci credi sempre, se sei disposto a continui sacrifici e lavorare sempre più duramente, allora tra qualche tempo… me ne comprerò un’altra”
L’ascensore sociale in Italia si è bloccato. Uno degli elementi di questo fenomeno è dato dal lavoro irregolare. Sono circa 3 milioni le persone che lavorano in modo irregolare nel nostro Paese – il 12% dei lavoratori italiani – e c’è un dato nel dato particolarmente “interessante”: più di un quarto opera nel settore domestico, dove il tasso di irregolarità sfonda quota 52,%. Ciò significa che i lavoratori domestici irregolari sono più di quelli regolari.
Interessante la suddivisione del lavoro irregolare per regione: in Calabria il 21%, in Campania il 17,9%, in Sicilia il 17,3%, in Abruzzo il 13,6%, in Umbria il 12,4% e in Liguria l’11,4%. Chiudono la classifica il Friuli-Venezia Giulia con il 9,2% degli occupati irregolari sul totale degli occupati, seguito dal Trentino-Alto Adige con l’8,9% e dal Veneto con l’8,5%.
Tra il 2004 ed il 2020, gli occupati non regolari nelle regioni italiane sono cresciuti, in media, di un valore pari al 9,34%. Sono solo cinque le regioni nelle quali si è verificata una riduzione: Veneto con -1,16%, Lazio con -5,3%, Sicilia con -6,99%, Lombardia con -12,96% e Campania con -30,08%. Assai particolare la crescita degli occupati non regolari in alcune regioni del Nord: il Piemonte con +50,77%, il Trentino-Alto Adige pari a 27,14%, Emilia-Romagna con +19,23%. Per queste tre regioni sono dati veramente gravi!
Con il termine “lavoro irregolare”si intende sia il lavoro nero, ossia del tutto invisibile a livello giuridico, sia quello grigio, quello cioè che, pur essendo caratterizzato da rapporti formalmente regolari, presenta comunque elementi di irregolarità relativi (come, ad esempio, il numero di ore effettivamente svolte).
L’incremento dei lavoratori italiani si verifica in un momento in cui, in Italia, abbiamo superato il 60% della popolazione attiva: per registrare una percentuale così alta dobbiamo tornare indietro agli anni ’70. Questo è un elemento sicuramente molto positivo. Dobbiamo però anche notare il persistere di fenomeni preoccupanti: l’evasione fiscale imperante, il lavoro autonomo non dichiarato e, al contrario, il lavoro sottopagato. Il fenomeno del lavoro irregolare sviluppa ulteriormente questi elementi negativi.
Che fare? Provo a elencare alcuni punti che stanno emergendo dal dibattito in corso:
- Per il lavoro domestico forse bisognerebbe pensare a reintrodurre i voucher che avevano contribuito per un certo periodo a mitigare il fenomeno del lavoro sommerso.
- Rendere noti i soggetti operanti in regime di irregolarità, così da colpire la reputazione delle imprese che assumono lavoratori in nero.
- Mettere in campo delle politiche attive rivolte ai lavoratori più fragili, affinché siano nelle condizioni di poter rinunciare al lavoro irregolare.
- Agire sul costo del lavoro per consentire la sostenibilità del lavoro regolare anche alle micro-imprese del nostro Paese.
Forse sono proposte non sufficienti, ma l’inazione delle istituzioni preposte, su questo punto, è ormai insostenibile.
Paolo Iacci, Presidente Eca, Università Statale di Milano