L’ANGOSCIA LATENTE CHE VOGLIAMO IGNORARE

 da HR ONLINE

Un tale inizia a stare molto male e va dal medico per un consulto. Questi gli diagnostica una grave malattia ai reni e gli spiega che, se vuole avere qualche possibilità di sopravvivenza, deve seguire per le sei settimane successive una dieta ferrea di latte materno. Il paziente rimane molto colpito dalle parole del medico. Torna a casa terribilmente preoccupato sia per la gravità della malattia sia , soprattutto, per la difficoltà di reperire una fonte adeguata dove rifornirsi di latte materno. Non vedendo in casa la moglie, l’uomo va dai vicini pensando di trovarla lì. Ma la vicina gli comunica che la moglie non c’è. Tra una cosa e l’altra, si informa anche della sua salute e chiede cosa gli è stato detto dal medico a riguardo. L’uomo le riferisce della sua malattia e della prescrizione del medico, manifestando la sua disperazione sulla possibilità di trovare una fonte di latte materno. A questo punto la premurosa vicina fa notare all’uomo che lei ha appena avuto un bambino e che, guarda caso, ha molto più latte del necessario. Arriva anzi al punto di offrirgli di provare subito il suo latte. Così i due si accomodano su un divano, la vicina scopre il seno e inizia ad allattare.

Dopo alcuni minuti, la donna inizia a trovare la cosa più stimolante del previsto e comincia a muoversi nervosamente sul divano. Chiede gentilmente all’uomo se desidera qualcos’altro, ma questi non risponde e continua il suo benefico pasto. Col passare dei minuti la donna si infiamma sempre più e avanza l’ipotesi che, per proseguire il trattamento, al vicino forse potrebbe servire dell’altro. Il tal caso, lei sarebbe ben felice di assecondarlo.

A questa profferta non ottiene risposta e l’allattamento procede. Alla fine, la vicina non riesce più a resistere. Si muove senza pace sulla sedia e dichiara infervorata che è pronta  a dare all’uomo qualsiasi cosa lui possa desiderare. All’udire queste parole lui si ferma. La guarda e chiede: “Avrebbe magari un biscotto?”

Sono molti i temi impliciti in questa barzelletta. “Le persone malate diventano come bambini”. Oppure: “il latte materno è fonte di vita”. Oppure: “prima il dovere e poi il piacere”. Vi sono poi temi inconsci. Uno legato al tema dell’Edipo o al tabù dell’incesto: la vicina benevola rappresenterebbe una madre seducente e l’uomo malato il figlio incestuoso. Temi inconsci che appartengono a un altro piano del comune sentire rispetto una valutazione come “le persone malate diventano come bambini”. Il contenuto inconscio è tale per una ragione precisa e ha un significato profondo e personale per ciascuno di noi. Tutta l’informazione che non è esplicita è implicita, ma non tutta l’informazione implicita suggerisce immediatamente una rilevanza inconscia.

In realtà, però, ognuno di noi agisce sempre uno e l’altro dei due livelli di comunicazione. Ognuno di noi porta nell’organizzazione di appartenenza il proprio comportamento esplicito ma, contemporaneamente, anche tutte le informazioni e il substrato inconscio di ciò che implicitamente accumula nella vita quotidiana.

Oggi c’è un dato enorme, clamoroso, di cui nessuno di noi parla mai quando si riferisce alla  vita aziendale. Ognuno di noi in questi ultimi anni è stato sollecitato da informazioni e sollecitazioni che non possono non comportare angoscia. Prima la pandemia. Improvvisamente tutto il mondo, per la prima volta nella storia dell’umanità, è stato coinvolto immediatamente nella stessa sventura. L’infinitamente piccolo si è rivelato infinitamente pericoloso. Qualcosa di sconosciuto ha contagiato, nell’arco di un tempo brevissimo, 771 milioni di persone e ha mietuto7 milioni di vittime. Lancet ipotizza che i morti riconducibili al covid siano stati in realtà 18 milioni. Nella prima guerra mondiale erano stati dieci milioni.

Non facciamo in tempo a uscire da questa emergenza e già vediamo il nostro pianeta attraversato da mutamenti climatici inaspettati che palesemente non siamo più in grado di controllare. Sembra che l’umanità stia camminando su un piano inclinato incapace di arrestarsi. Ma non è ancora finita.

Oggi il mondo è in guerra e gli eccidi sono alle nostre porte. C’è un’immagine che mi torna in mente mentre sto scrivendo queste righe. Putin va a incontrare Xi Jinping e dietro di lui, in favore di telecamere, due militari con le valigette che possono dare il via in qualsiasi momento a una guerra nucleare in grado di annientarci. Il messaggio implicito per tutto il mondo è stato chiarissimo. E tutti hanno visto e compreso perfettamente. Non c’è bisogno di altro per capire.

L’insieme di questi fatti, il loro contenuto, esplicito ed implicito, non può non determinare in tutti noi una latente, ma profonda angoscia di morte. La possiamo negare nella vita quotidiana ma aleggia nell’anima di ognuno di noi. Ce la portiamo dietro in ogni momento della nostra vita. Quindi anche nelle nostre organizzazioni. Mi si potrebbe obiettare: “e allora?! Cosa possiamo fare?! Siamo impotenti, perché ricordarcelo?!” Capire è indispensabile per comprendere. Comprendere nel senso di “prendere con noi”.

Nella nostra cultura la morte rappresenta un tabù: se ne parla poco e questo alimenta la paura e il senso di solitudine. Viviamo in una società sempre più polarizzata, ma avremmo in realtà bisogno, al contrario, di calore, rassicurazione, senso di comunità, protezione, certezze. Quando le persone non trovano un ambiente accogliente scappano via, alla ricerca di qualcos’altro che possa lenire quell’angoscia inconfessabile che noi viviamo come un malessere difficilmente descrivibile. Le persone chiedono comunità e serenità, lenimento per un’angoscia non confessabile neanche a noi stessi. Non un benefit in più ma maggiore com-prensione. “Essere prese con loro”.

Come nella barzelletta. Davanti all’angoscia di morte, un biscotto che ci possa far tornare a una serenità ormai dimenticata.

 

Paolo Iacci, Presidente Eca, Università Statale di Milano

 

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