IL GIORNO PIÙ NOIOSO
Un tizio va dal medico di base per la prima volta.
-Come si chiama?
-Pie-pie-pie-Pietro.
-Ah, lei è balbuziente…
-No, io non sono balbuziente, mio padre era balbuziente, e quello dell’anagrafe un tipo davvero spiritoso…!
L’11 novembre 1954 è stato dichiarato il giorno più noioso della storia. A decretarlo l’università di Cambridge che ha analizzato tutti gli accadimenti riportati dai giornali.
Secondo l’algoritmo di “True Knowledge”, il sistema messo a punto dall’università britannica, di quella domenica di primavera c’è davvero ben poco da raccontare.
Quel giorno si tenevano le elezioni politiche in Belgio e si insediava un governo socialista per i successivi 4 anni. O, ancora, si architettava il colpo di stato nel distretto indiano di Yanam in mano ai francesi, ma la rivolta non avveniva fisicamente quella notte.
Anche quanto a nascite e morti di personaggi famosi quell’11 novembre è stato povero: vi nacque il professor Abdullah Atalar, scienziato che oggi è rettore e docente alla facoltà di ingegneria di Birkent, in Turchia. E vi morì un calciatore britannico, Jack Shufflebotham, un mediano che giocò in diverse squadre della Football League inglese. Per il resto, tra i 300 milioni di eventi, accordi, nascite e morti, luoghi coinvolti in accadimenti speciali registrati da True Knowledge, null’altro è degno di nota.
Mi viene un dubbio: ma non è stato per caso invece il giorno migliore della storia? Quello dove le vite delle persone sono state meno scosse da eventi distruttivi, dove gli accadimenti si sono succeduti secondo ritmi il più possibile normali? Viviamo, anche nel nostro lessico, in una continua esaltazione del cambiamento. Questo da un lato è giustissimo, perché dobbiamo stare al passo con i tempi, ma dall’altro lato non dovremmo dimenticare che i cambiamenti sono anche faticosi e contengono sempre un quid di pericolo.
Non dobbiamo cambiare solo per il gusto di farlo. Chi lo fa rischia. Se l’esame della realtà ci dice che rimanendo fermi rischiamo, non dobbiamo opporre resistenza al cambiamento, ma dobbiamo anche essere sempre consapevoli degli effetti delle cose che facciamo. L’epica del cambiamento rischia altrimenti di essere dannosa tanto quanto la tanto vituperata resistenza al cambiamento.
Vale per la vita delle persone come per quella delle organizzazioni.
Come dice il proverbio: “Chi lascia la strada vecchia per la nuova…”