L’Italia tra una poppata e un biscotto
Un tale sta piuttosto male e va dal medico per un consulto. Questi gli diagnostica una grave malattia renale e gli spiega che se vuole avere una qualche chance di sopravvivenza deve seguire per le sei settimane successive una dieta ferrea a base di latte materno.
Il paziente rimane molto colpito dalle parole del medico e torna a casa terribilmente preoccupato sia per la gravità della malattia sia per la difficoltà nel reperire del latte materno fresco. Non trovando in casa la moglie, l’uomo va dai vicini pensando che la moglie sia andata a fare loro visita. Ma la vicina gli dice che la moglie non è lì e tra una cosa e l’altra gli chiede il responso del medico. Saputo della prescrizione medica, la premurosa vicina fa sapere all’uomo che, avendo lei appena avuto un bambino e avendo molto più latte del necessario, sarebbe disposta ad aiutarlo, anche immediatamente.
L’uomo accetta e i due si trasferiscono subito sul divano dove lei scopre un seno ed inizia ad allattarlo. Dopo pochi minuti, la donna comincia a trovare l’esperienza più stimolante del previsto e comincia a muoversi nervosamente sulla sedia. Chiede all’uomo se desidera anche qualcos’altro, ma questi continua imperterrito a poppare. Col passare dei minuti la signora comincia però a infiammarsi sempre più e, dopo molti tentennamenti, si dichiara all’uomo pronta ad assecondarlo se questi desiderasse anche altro.
L’uomo continua a succhiare, assolutamente incurante.
Alla fine, la vicina non riesce più a resistere. Si muove senza pace sulla sedia, si dichiara sempre più infervorata e pronta ad esaudire ogni altro desiderio dell’uomo. All’udire queste parole l’uomo si ferma.
La guarda e chiede: “Avresti magari anche un biscotto?”
L’ultimo Rapporto Censis descrive un’Italia contraddittoria, spaesata, irrazionale, dai mille volti che coesistono in un caleidoscopio dalle infinite combinazioni possibili. Da un lato vi è una maggioranza di italiani moderati e apparentemente ragionevoli. Dall’altro una crescente ondata di irrazionalità che s’innerva a poco a poco nel Paese. Qualche dato per rendere più concreto il ragionamento. Per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni di persone) il Covid semplicemente non esiste. Per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace. Per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici. Il 19,9% degli italiani considera il 5G uno strumento molto sofisticato per controllare le menti delle persone. Il 5,8% è sicuro che la Terra sia piatta e il 10% è convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna. Il 39,9% pensa che le identità e culture nazionali spariranno a causa dell’arrivo degli immigrati, e tutto ciò accade per interesse e volontà di non ben precisate élite globaliste internazionali.
Più del 30% degli italiani è un analfabeta funzionale, non riesce cioè a capire e a ripetere con parole sue un articolo complesso contenente concetti astratti. Anche investire in formazione sembra non conveniente. L’81% degli italiani, infatti, ritiene che oggi sia molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento di tempo, energie e risorse profuso nello studio. Il 35,5% è convinto che non convenga impegnarsi per laurearsi o conseguire master e specializzazioni per poi ritrovarsi invariabilmente con guadagni minimi e rari attestati di riconoscimento.
L’83,8% degli italiani ritiene che l’impegno e i risultati conseguiti negli studi non mettano più al riparo i giovani dal rischio di restare a lungo disoccupati. Il 69,6% si dichiara molto inquieto pensando al futuro e il dato sale al 70,8% tra i giovani. L’80,8% degli italiani (soprattutto i giovani: l’87,4%) non riconosce una correlazione diretta tra l’impegno nella formazione e la garanzia di avere un lavoro stabile e adeguatamente remunerato.
I Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, costituiscono una eclatante fragilità sociale del nostro Paese. Tra tutti gli Stati europei, l’Italia presenta il dato più elevato, che negli anni continua a aumentare. Nel 2020 erano 2,7 milioni, pari al 29,3% del totale della classe di età 20-34 anni: +5,1% rispetto all’anno precedente. Nel Mezzogiorno sono il 42,5%, quasi il doppio dei coetanei che vivono nelle regioni del Centro (24,9%) o nel Nord (19,9%).
L’Italia di Draghi è oggi impegnata in un grande sforzo di ripartenza. Nelle nostre imprese si respira una volontà di ripresa come non si sentiva da almeno vent’anni. Uno dei più grandi problemi che abbiamo è però quello della scarsità di risorse. Il numero di laureati è inferiore a quello degli altri paesi avanzati. Vi è un grande mismatch tra professionalità richieste e profili disponibili. Vi è un forte ritardo anche per quanto riguarda la formazione continua e le competenze digitali. Infine, abbiamo il problema giovanile: è non solo un problema di mancato reddito, ma anche di mancanza di competenze e ancora prima di motivazione. Il risultato è che, già oggi, c’è una quota di lavori disponibili che non trovano persone disposte o preparate per coprirle. Un problema che potrebbe addirittura aggravarsi nei prossimi anni. Questo si innesca su una società italiana sfiduciata, il cui tessuto sociale non tende alla coesione, ma si lascia andare a fenomeni di disgregazione e antiscientismo. Il rischio molto concreto che corriamo è di non riuscire ad assecondare questa spinta verso la ripresa per scarsità di persone adeguatamente preparate. Le imprese in questo non possono essere lasciate sole, ma non possono nemmeno pensare di affrontare un periodo assolutamente eccezionale senza uno sforzo altrettanto importante, sia in termini di budget sia dal punto di vista delle risorse e dell’attenzione dedicata.