I TIMBRI E IL SOUTHWORKING
Così scriveva Ennio Flaiano nel 1972 descrivendo, con la sua ineguagliabile ironia, la burocrazia che attanaglia il nostro Paese. Questo appare un territorio sempre più spaccato in due. Un nord industriale che tenta di non perdere l’aggancio con L’Europa, un sud che non riesce ad uscire dai suoi problemi atavici e che rimane arretrato sul piano industriale e anche su quello dei servizi e delle infrastrutture. Troppe volte, per i giovani del sud, la prospettiva di un posto di lavoro nel pubblico rimane ancora la meta agognata, in mancanza di altre opportunità concrete. I Timbri, da questo punto di vista possono addirittura sembrare meno opprimenti. Soprattutto quando l’alternativa è il trasferimento al Nord.
Negli ultimi 15 anni, 2 milioni di giovani laureati e di lavoratori si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Nord Italia, con un trend crescente: se nel 2001 i laureati meridionali che emigravano erano il 10,7%, nel 2011 la percentuale era più che raddoppiata, raggiungendo il 25%. Si tratta di persone che, grazie al lavoro a distanza, in moltissimi casi sono tornate nella loro terra natia a casa e che ora coltivano il sogno di poter continuare a lavorare da remoto stabilmente, anche dopo la fine della situazione emergenziale. Lo Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, stima siano 100.000 i lavoratori che per lavorare da remoto hanno fatto ritorno al sud. Circa il 3% di tutta la popolazione in remote working. Secondo una ricerca condotta dallo stesso Svimez in collaborazione con l’Associazione South Working, l’85,3% dei lavoratori meridionali trasferitesi al nord tornerebbe a vivere al sud, se fosse loro permesso continuare a lavorare da remoto.
Tra i vantaggi più riconosciuti dai lavoratori nello spostarsi al Sud, figurano il minore costo della vita e la disponibilità di un’abitazione a basso costo. A scoraggiarli, invece, soprattutto i servizi sanitari, quelli di trasporto e quelli legati a scuola e famiglia.
La maggior parte delle aziende intervistate ritiene, invece, che i vantaggi principali del south-working siano la maggiore flessibilità negli orari di lavoro e la riduzione dei costi fissi delle sedi fisiche. Ma, allo stesso tempo, crede che gli svantaggi maggiori siano la perdita di controllo sul dipendente da parte dell’azienda, il rischio che venga meno l’affiliazione con l’azienda, gli investimenti necessari in tecnologia ed infine i problemi di sicurezza informatica.
Lo Svimez sottolinea come il south-working potrebbe rivelarsi un’interessante opportunità per lo sviluppo del Sud. Per realizzare questa nuova opportunità è tuttavia indispensabile costruire intorno ad essa una politica di attrazione di competenze con un pacchetto di interventi concentrato su quattro cluster:
1) incentivi di tipo fiscale e contributivo;
2) creazione di spazi di co-working;
3) investimenti sull’offerta di servizi alle famiglie (asili nido, tempo pieno, servizi sanitari);
4) infrastrutture digitali diffuse in grado di colmare il gap Nord/Sud e tra aree urbane e periferiche.
Probabilmente dovremmo ritoccare anche la legge sullo smartworking, datata maggio 2017. Nell’ultimo anno si è rivelata uno strumento valido, ma lo sviluppo improvviso del fenomeno richiede probabilmente norme più dettagliate sul diritto alla disconnessione, sul welfare aziendale e sulle responsabilità legate a cybersecurity e data protection.
(1) Tratto da: Ennio Flaiano, 2004, Le ombre bianche, Milano, Adelphi, pp. 255-56