I RITI DI FINE ANNO
“Se tu vuoi un amico, addomesticami!”
“Che bisogna fare?”, domandò il piccolo principe. “Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…”
Il piccolo principe ritornò l’indomani.
“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe. “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò a essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e a inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… Ci vogliono i riti”.
“Che cos’è un rito?”, disse il piccolo principe.
“Anche questa è una cosa da tempo dimenticata”, disse la volpe. “È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza”.
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
Con l’incontro tra il Piccolo principe e la volpe Antoine de Saint-Exupéryci ricorda il valore del rito. Il termine deriva dal latino “ritus”, la cui etimologia significa fluire, scorrere, far muovere atti e gesti che, svolti in successione, sono seguiti da regole codificate. Il rito è ciò che costituisce la trama delle nostra vita, della nostra quotidianità, dei nostri rapporti e relazioni. È la cornice dentro alla quale si inseriscono le nostre scelte, ciò che ci permette di comprendere e decidere, in autonomia e in piena libertà, che cosa possiamo e vogliamo fare. La nostra vita è scandita dai riti, sin da quando ci alziamo al mattino e, senza pensare, facciamo sempre le stesse cose nella stessa sequenza. Questo ci consente di non pensare e di eseguire ciò che dobbiamo fare con il minimo di sforzo possibile. Ma questo è solo uno degli aspetti del rito. Nell’esempio della volpe il rito spiega benissimo in che modo la determinazione rituale degli eventi ha a che fare con la nostra stessa felicità: i riti servono a “prepararsi il cuore”. Senza di loro tutto sarebbe uguale, tutto sarebbe insignificante, perderemmo molto della densità della realtà e di tutta la nostra vita. Se incontriamo la persona di cui siamo innamorati sempre alla stessa ora, quel rito determinerà tutta la nostra giornata. E non esisterà cosa al mondo capace di farci desistere da quell’appuntamento.
Nei rapporti sociali ed organizzativi i riti aiutano la collettività ad unirsi, collegano il presente al passato, il singolo individuo al gruppo. In un momento di spaesamento, isolamento e senso di fragilità come quello che stiamo vivendo non dobbiamo dimenticare il valore dei piccoli gesti e il ruolo dei riti nel tenere coeso il corpo sociale dell’impresa. Con lo sviluppo della nostra cultura individualista si è diffusa l’opinione che i riti siano inutili, una perdita di tempo: nulla di più errato. Dobbiamo ovviamente verificare quale ritualità sia futile e insignificante, sapendo però che in sé il rito, nella nostra quotidianità, può e deve avere un posto di primaria importanza affinché ogni evento assuma senso e significato. Se prima della pandemia la vita del nostro ufficio o della nostra azienda era scandita da alcuni rituali, questi, nei limiti delle possibilità, vanno mantenuti perché mai come ora hanno una funzione rassicurante e di continuità. Si sta chiudendo un anno particolarmente difficile su più versanti. Economico, sanitario, sociale e personale. Le persone hanno bisogno oggi più che mai di vedere la luce alla fine del tunnel. Teniamo vivi i riti essenziali della vita aziendale, soprattutto quelli che possono interpretare un sentimento collettivo di solidarietà. Perché, come dice Antonie de Saint – Exupéry, “l’essenziale è invisibile agli occhi: si vede solo con il cuore”.