LA PROPRIETA’ DI AFFORDANCE
Ci sono un ingegnere meccanico, un ingegnere chimico, un ingegnere elettronico ed uno informatico in una Cinquecento. Ad un certo punto l’auto si ferma, e si spegne il motore.
Allora l’ingegnere meccanico dice: “Lo sapevo io, sicuramente è colpa dell’albero motore”.
E il chimico: “No no, sono certo che è colpa degli acidi della batteria”.
Poi l’elettronico: “Ma figuriamoci, si é sicuramente guastata la centralina elettronica”.
Infine, l’informatico: “Ma se noi provassimo ad uscire e poi a rientrare?”
L’altro giorno il mio PC si è impallato. Ho fatto di tutto senza alcun esito. Ho allora provato a chiamare l’amico di fiducia, esperto nel settore. Il quale, per non sapere né leggere né scrivere, mi ha consigliato di ricorrere al vecchio metodo. Così ho spento, ho aspettato un poco e poi ho riacceso. Tutto ha ricominciato a funzionare come per magia. Ho provato a chiedere al mio amico come mai ed ovviamente lui non me l’ha saputo dire.
In un bel libro di una decina d’anni fa, la Caffettiera del masochista, l’autore Donald Norman, noto psicologo cognitivista, parlava del fatto che ogni oggetto ben progettato dovrebbe avere quella che lui chiamava la proprietà di affordance (detta anche “invito all’uso”). Questo concetto non appartiene né all’oggetto stesso né al suo utilizzatore ma si viene a creare dalla relazione che si instaura fra di essi.
Ogni oggetto, cioè, dovrebbe essere concepito in modo tale da suggerire il proprio utilizzo. Se noi guardiamo, ad esempio, la maniglia di una porta, questa suggerisce da sola come essere usata. L’aspetto esterno di una caraffa d’acqua – con manico laterale e beccuccio – permette all’utilizzatore di dedurne intuitivamente le funzionalità, anche senza averla mai vista prima. Tra gli oggetti con un’ottima affordance vi sono, ad esempio, la forchetta o il cucchiaio, strumenti che nel corso dei millenni sono stati affinati dall’uomo fino alla forma odierna, estremamente intuitiva e di semplicissimo utilizzo. Analogamente qualsiasi oggetto dovrebbe possedere la stessa capacità di essere autoesplicativo o per lo meno facilmente comprensibile.
Norman ritiene che il modo migliore per rendere chiaro il funzionamento di qualsiasi oggetto sia quello di afferire a un modello concettuale pulito, chiaro e comprensibile. Il PC nel suo riprendere a funzionare per il solo fatto di essere spento e poi riacceso ovviamente non risponde a questa caratteristica.
Ciò che Norman suggerisce per ogni prodotto ben progettato, dovremmo applicarlo anche a qualsiasi tipo di servizio, o a qualsiasi strumento gestionale con cui coinvolgere o indirizzare il comportamento dell’individuo.
La rivoluzione digitale può darci una grande mano in questo senso oppure al contrario ci può lasciare soli in preda a una tecnologia per molti di noi è ancora un po’ ostica. Le nuove tecnologie possono facilitare il compito di chi vuole gestire le persone con il segno più davanti. Dando cioè, ad esempio, più formazione a casa, in uno spazio di tempo breve e con investimenti ridotti. Oppure consentendo a una madre che lavora per mantenere una figlia ancora molto piccola di conciliarle la vita professionale con quella aziendale, eliminando ad esempio il tempo casa – ufficio – casa per uno o due giorni la settimana.
Perché questo disegno funzioni però ci vuole grande chiarezza riguardo l’obiettivo cui tendere. Anche gli strumenti che la Direzione HR utilizza dovrebbero sempre rispondere alla proprietà di “affordance”. Le istruzioni per l’uso non sono sempre chiare, facilmente intuibili, e anche questo è uno degli elementi da cui deriva il sospetto e il disagio che troppo spesso avvolge l’utilizzo degli strumenti hr.