LA RINASCENTE, NOTRE DAME, NOI
Guardo Notre Dame in fiamme e mi viene in mente un famoso aneddoto. La notte di Natale di 100 anni fa, un incendio forse causato da corto circuito distrusse “La Rinascente” di piazza Duomo, inaugurata in pompa magna appena due settimane prima. Il grande imprenditore che l’aveva voluta era stato il senatore Borletti. La notte di Natale, mentre il grande magazzino è ancora in fiamme, Borletti annuncia la tragedia ai familiari riuniti nel tradizionale cenone: «La Rinascente brucia, domani ricominciamo. Non è solo un problema nostro, è lo spirito d’Italia che lo vuole», scandisce, sotto gli sguardi attoniti e commossi dei parenti. L’aneddoto illustra bene la forza di tanti in quel primo dopoguerra, determinati a rimettere in piedi l’Italia.
Per ricostruire “La Rinascente” occorrevano ingenti capitali: prestiti dalle banche, e per averli bisognava – ieri come oggi – garantire una reale solidità patrimoniale. Anche a quei tempi le apparenze significavano sostanza. E allora, per un milanese quale migliore occasione della Prima della Scala per esibire tali ricchezze, concrete o favoleggiate?! Così Borletti disse alla moglie Anna una frase diventata poi famosa: «Nanà, met su i giuiei»(mettiti addosso tutti i gioielli).
Ottenne l’effetto desiderato. I prestiti dalle banche arrivarono. La nuova Rinascente fu inaugurata dopo appena due anni e tre mesi: il 23 marzo 1921. Ricostruita identica alla prima, questa volta però fornita di grandi serbatoi di acqua antincendio. A inventarne il nome fu Gabriele D’Annunzio, bene interpretando così in sintesi il sentimento di un popolo che in quella ricostruzione voleva ritrovare il suo spirito.
Guardo alla televisione l’incendio che sta distruggendo uno dei più importanti simboli della Francia e dell’Europa nel mondo. Mentre le fiamme stanno mandando in cenere la culla della cristianità francese parte un’enorme colletta che raccoglie centinaia milioni di euro nel giro di poche ore. L’obiettivo diventa immediatamente la ricostruzione. Ripartire dalla cenere per costruire un futuro comune. Un popolo diviso da recenti violente polemiche si scopre in un attimo unito nella salvaguardia della sua identità. Perché se muore il testimone della nostra vita muore una parte anche di noi. Finchè abbiamo vita non possiamo permetterlo.
Così, mentre Notre Dame brucia, penso a noi e alla nostra vita sociale e professionale. Dicotomie profonde, un clima sempre divisivo dove l’avversario diventa subito un nemico, dove l’insulto ha preso il posto dell’ascolto, l’ignoranza quello del merito. La possibilità di riscatto dipende dall’esempio di ciascuno di noi. Che ognuno inizi anche dal suo ambito professionale. Non è poca cosa. Opporsi alla cultura del non lavoro per affermare l’etica del lavoro e la possibilità di riscatto e di autorealizzazione che questo può comportare mi sembra un’opera grande. Come sarà grande l’opera di ciascun operaio che avrà il privilegio di ricostruire Notre Dame, più bella e maestosa di prima.