LA GENERAZIONE “LIMBO” E I MASTER DEL FUTURO
Nella Divina Commedia, Dante raccoglie nel limbo tutte le persone rette, ma non battezzate. Virgilio stesso è tra questi. “Sanza speme, vivemo in disio”, cioè devono vivere senza speranza, in un continuo desiderio.
Analogamente il New York Times ha parlato per primo della “generazione limbo” composta da giovani volenterosi e con titolo di studio ma non ancora “battezzati” con un titolo professionalizzante. Si tratta di neo laureati, usciti con lauree da università anche di buon livello che, a causa della crisi, stanno ancora cercando un lavoro o vivacchiano con una occupazione precaria e sottopagata, ben lontani dalle aspettative maturate nelle aule universitarie. Sono i nuovi dannati della società post- industriale. È un segmento della popolazione giovanile presente in tutte le società occidentali ma particolarmente affollato nelle società ad alto tasso di disoccupazione giovanile (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo…).
Non si tratta dei nostri Neet, giovani non necessariamente con un’alta scolarità, che vivono alle spalle della famiglia, senza lavoro né occupazione. Quelli della generazione “limbo” hanno fatto tutto il percorso di studi che dovevano compiere, molti hanno un lavoro precario, ma non in linea con quello che hanno studiato e con le competenze maturate. Molti di loro emigrano in cerca di fortuna: in genere trovano una loro strada e malgrado la nostalgia non pensano di tornare. La maggioranza attende pazientemente che le cose migliorino: sempre più frustrati, a loro si rivolge chi offre un reddito di cittadinanza per tirare mollemente a campare. Vi è però chi rimane ma non si pone in un atteggiamento passivo: investe su se stesso e cerca di colmare a spese proprie il mismatch di competenze tra domanda e offerta di lavoro. Sono la nuova utenza dei master di primo e secondo livello. E pongono due tipi di problema.
Il primo è la forte spendibilità immediata del master e quindi l’updating delle cognizioni trasmesse. I master di derivazione universitaria devono saper coinvolgere anche le imprese non solo per sporadiche testimonianze ma in maniera strutturale, a partire dalla definizione dei profili di arrivo, dei contenuti trasmessi, delle metodologie applicate e poi come sbocco al termine del percorso formativo. Quelli a carattere privato devono poter dimostrare profondità di contenuti e continuità nel rapporto con la filiera economica di riferimento.
Questa forte richiesta di “strumentalità” del master è però unita a un’inedita “domanda di senso”. Nuova per quantità e per qualità. Le organizzazioni, e il lavoro nel suo complesso, appaiono agli occhi della generazione limbo come prive di senso. Un mero fatto strumentale per poter campare. Altro che motivazione e coinvolgimento! Si è rotto il patto sociale per cui ci si prepara, con lo studio e il praticantato, a un futuro migliore. Il furto del futuro è un elemento esistenziale così grave da determinare una frattura sociale difficilmente colmabile. Quel segmento della “generazione limbo” che investe in un master, al contrario, non mette sul tavolo solo soldi, impegno e tempo, ma soprattutto una rinnovata fiducia nella possibilità di un futuro migliore che il mondo di chi “è arrivato” sembra negare loro.
Il mondo della finanza ha perso appeal perché dopo Lehman Brothers ha ricominciato a operare come prima, come se non fosse successo nulla. Il rinnovato interesse verso i master a contenuto industriale o tecnologico risponde invece a una richiesta cogente di concretezza da altri disillusa. La richiesta di master internazionali va in senso opposto rispetto la narrazione “sovranista” apparentemente prevalente, fatta di dazi e di mancati accordi commerciali. La parte migliore dei giovani che hanno voglia di scommettere sul futuro ci porge una richiesta e delle opzioni che non dobbiamo trascurare. Superare il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro non è allora sufficiente. Per ritrovare senso in quel che si fa, tutto il mondo del lavoro è allora chiamato ad uno sforzo inedito. Chi lavora per un master prima e più di tutti gli altri. Far nascere entusiasmo per il “mestiere” che si propone, farne capire il ruolo e il valore per la crescita non solo personale ma dell’intero sistema economico e sociale è una richiesta nuova ma non per questo meno eludibile. Far uscire un’intera generazione dal limbo è compito dell’intera società. Valorizzare le persone e con loro il senso ultimo del mestiere proposto è il nuovo obiettivo che si pone ai master davvero rivolti al futuro.
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