IL MARCHIO DEI MALFATTORI
Un disoccupato sta cercando lavoro come uomo delle pulizie alla Microsoft.
Il responsabile dell’ufficio del personale, per valutarlo, gli fa scopare il pavimento, poi lo intervista e alla fine gli dice: “Congratulazioni… sei assunto! Dammi il tuo indirizzo e-mail, così ti mando un modulo da riempire insieme al luogo e alla data in cui ti dovrai presentare per iniziare.”.
L’uomo, sbigottito, risponde che non ha il computer, né tanto meno la posta elettronica.
Il responsabile gli risponde che se non ha un indirizzo e-mail significa che virtualmente non esiste e quindi non gli possono dare il lavoro.
L’uomo esce disperato, senza sapere cosa fare e con solo 10 dollari in tasca.
Decide allora di andare al supermercato e comprare una cassa di dieci chili di pomodori. Vendendo porta a porta i pomodori in meno di due ore riesce a raddoppiare il capitale e ripetendo l’operazione si ritrova con centosessanta dollari.
A quel punto realizza che può sopravvivere in quella maniera, parte ogni mattina più presto da casa e rientra sempre più tardi la sera e ogni giorno raddoppia o triplica il capitale. In poco tempo si compra un carretto, poi un camion e in un batter d’occhio si ritrova con una piccola flotta di veicoli per le consegne. Nel giro di cinque anni il tipo è proprietario di una delle più grandi catene di negozi di alimentari degli Stati Uniti.
Allora pensa al futuro e decide di stipulare una polizza sulla vita per sé stesso e la sua famiglia. Contatta un assicuratore, sceglie un piano previdenziale e quando alla fine della discussione l’assicuratore gli chiede l’indirizzo e-mail per mandargli la proposta, lui risponde che non ha né computer né e-mail.
“Curioso…” osserva l’assicuratore “Avete costruito un impero e non avete una e-mail, immaginate cosa sareste se aveste avuto un computer!”.
L’uomo riflette e risponde: “Sarei l’uomo delle pulizie della Microsoft…”.
In Italia c’è una sorta di epica del self made man, dell’uomo che si è fatto da solo grazie solo al suo ingegno e al suo spirito di sacrificio. Credo sia un meccanismo consolatorio e di rivalsa verso un mondo del lavoro dove l’ascensore si è bloccato ormai da molti anni.
Se invece guardiamo i meccanismi del mercato del lavoro, scopriamo l’esatto opposto. L’occasione di questa riflessione mi viene da un’indagine europea resa nota in questi giorni da una nota società di selezione. Questa ricerca ci indica la diversa percezione nei Paesi europei che i selezionatori hanno nei confronti dei candidati.
In Italia se, ad esempio, qualcuno smette di lavorare da dipendente e investe su stesso o comunque si concede un momento di pausa, scatta al massimo dopo sei mesi il sospetto di fallimento. Il gap lavorativo viene percepito maggiormente nei paesi con problematiche di occupazione più elevate; Italia al top della lista con il 50% di selezionatori che considera importante avere una pausa lavorativa massima di sei mesi. Oltre non è proprio consentito. Segue la Spagna al 32%. L’inattività non viene invece percepita come preoccupante in Francia (4%) e nei Paesi Bassi (8%) dove l’attitudine culturale alla flessibilità è oramai introdotta nel mercato del lavoro.
Come si vede in Italia l’epica del self made man cade immediatamente sotto i colpi del pregiudizio. Il selezionatore medio (e anche il decisore aziendale) fa il seguente ragionamento: “Se il periodo di gap lavorativo è più lungo dei 6 mesi vuol dire che non vali e quindi io neanche ti propongo alle mie aziende clienti. Tu non lo sai ma io vedo dietro la tua spalla sinistra il giglio di Francia, il marchio che prima della rivoluzione francese si riservava ai ladri e ai malfattori”.
E il merito?! La flessibilità?! Roba da convegni, lasciate stare…