CONTRO LA RETORICA DEL TALENTO
Si racconta che Giuseppe Verdi, passeggiando vicino alla Scala di Milano, si fosse imbattuto in un suonatore di organetto che stava suonando la marcia trionfale dell’Aida. Verdi ne fu attratto, ma subito lo apostrofò: “State andando troppo in fretta, ci vuole ritmo, segui il tempo”
“Grazie mille, maestro” Il suonatore lo aveva subito riconosciuto e gli si stava rivolgendo con grande rispetto.
Il giorno dopo, uscendo dalle prove, ritrovò lo stesso suonatore. Finalmente stava andando a tempo. Pur nella modestia dello strumento, un’esecuzione molto buona. Molto bravo, pensò Verdi.
Mentre stava pensando a questo, notò un vistoso cartello a fianco dell’organetto, con una grande scritta in rosso: “Allievo di Giuseppe Verdi”.
La gestione dei talenti è uno dei temi di management più di moda in questi anni. Tanto interesse si basa sulla premessa secondo la quale nelle organizzazioni si può parlare di tre tipi di “capitale”: il capitale fisso, che consente di fondare un’impresa, quello circolante, che consente di farla funzionare, ed infine il capitale umano, che tutte le sere esce dall’impresa e vi ritorna il giorno dopo. Se è bravo e vale davvero, ritorna solo se ha delle buoni ragioni per tornare. Per altro, il tema d’individuare e sviluppare gli “alti potenziali” non era nuovo, ma riprendeva un tema caro a molte imprese già dagli anni ’70. La forte turbolenza dei mercati e la spinta concorrenziale riportava alla ribalta la necessità di individuare le risorse critiche, formarle, motivarle e trattenerle in azienda. Su questa base sono nate selezioni mirate, iter formativi ad hoc, percorsi accelerati di carriera, con relativi compensi. Sulla carta tutto bene. A poco a poco, però, molte imprese si sono accorte che una certa retorica sui talenti sta comportando anche gravi scompensi. Poiché i veri talenti sono pochi e tutti li vogliono, in molti casi si spacciano per talenti molti giovani bravi ma assolutamente nella media. Poiché iter di carriera ritagliati su misura richiedono investimenti che in tempo di crisi non tutti si possono permettere, molte normali attività formative si sono in realtà contratte, ma sono state riverniciate di nuovo, dando loro la pomposa patente di “Accademy”. Intanto alcuni giovani sicuramente promettenti ma ancora un po’ troppo acerbi sono stati posti in posizioni troppo alte rispetto la loro esperienza e hanno creato i primi danni. A fronte di questi, nelle strutture preesistenti i “vecchi” quaranta-cinquantenni, sentitisi scavalcati, stanno sempre più rumoreggiando. Alcune aziende, come Unilever, hanno esortato i loro giovani talenti (che scalpitavano per saltabeccare da una posizione ad un’altra) “stay longer in your job”. In altri settori, come quello del risparmio gestito, si è sottolineato il valore di credibilità verso la clientela dell’esperienza e del “capello grigio”, cercando di individuare le risorse critiche non solo tra i neo laureati.