La motivazione intergenerazionale
A 3 anni il successo è …. non farla nel pannolino
A 12 anni il successo è…. avere tanti amici
A 18 anni il successo è…. avere la patente
A 20 anni il successo è…. avere relazioni sessuali
A 35 anni il successo è…. avere moltissimi soldi
A 50 anni il successo è…. avere moltissimi soldi
A 60 anni il successo è…. avere relazioni sessuali
A 70 anni il successo è…. avere la patente
A 80 anni il successo è…. avere tanti amici
A 90 anni il successo è…. non farla nel pannolino
È nel senso comune che da anziani si torna bambini. Si riscoprono i valori di base e si perdono per strada quelle necessità della cosiddetta “vita adulta” che avevano caratterizzato la nostra crescita. Da sempre la società è segnata dalla convivenza tra generazioni diverse. In alcuni momenti quella convivenza è stata particolarmente critica, in altri il dialogo e la crescita economica e sociale hanno attenuato frizioni che sono in ogni caso naturali. Con l’allungamento dell’età lavorativa si presenta oggi anche in azienda la necessità di una buona convivenza tra generazioni. I senior over 50, se non over 60, sono ovviamente assai diversi dalle generazioni più giovani. Oggi si guarda con interesse (e qualche preoccupazione) ai millennials, la generazione nata dopo la metà degli anni ’80. Con uguale interesse, e forse anche con qualche preoccupazione aggiuntiva, si osserva che gli over 55 che pensavano di andare in pensione a breve si sono trovati improvvisamente ancora molti anni di lavoro davanti e non sembrano essere ormai più molto motivati e più aggiornati sul versante professionale. Mi domando però se non vi siano più elementi di unità che non di separazione. Io credo che oggi vi sia una domanda di “senso” così diffusa e trasversale che supera le pur presenti differenze generazionali. I consueti elementi motivazionali con cui siamo cresciuti attecchiscono sempre meno e nell’aria si sentono venti di disaffezione così forti da investire tutte le generazioni, nessuna esclusa. Troppo spesso nelle organizzazioni si vive una sensazione d’impersonalità, sostituibilità, isolamento ed omologazione che tende a schiacciare. Sotto questo peso, agire solo sul versante della sicurezza o sul versante economico ha un effetto motivante passeggero e marginale. Ridare senso e valore a ciò che viene fatto, ricompattare le persone su questo versante, è un terreno ancora in larga misura inesplorato. Le imprese, per di più, chiedono persone in grado non solo di eseguire passivamente, quanto piuttosto persone in grado di dare anche più di quello che la loro posizione burocraticamente intesa richiederebbe. Le aziende chiedono impegno e presenza di sé nel ruolo. Perché ciò avvenga, il soggetto deve non solo considerare il proprio lavoro “pieno di senso”, ma deve anche essere tranquillo sul fatto che potrà esprimere il proprio sé senza per questo essere oggetto di critiche. Deve percepire d’essere inserito in un ambiente “amico” e di avere tutte le risorse per attuare quanto ritiene opportuno per il bene dell’impresa. Dobbiamo aiutare tutte le generazioni a prendere coraggio e fiducia in sé, ascoltando le persone, facendole sentire partecipi di progetti importanti e significativi. Che, insomma, lavorare ne valga la pena, indipendentemente dall’età che si ha.(www.paoloiacci.it)