I tre naufraghi
Tre naufraghi – un economista, un ingegnere e un fisico – si trovano su un’isola deserta con una lattina di fagioli in mano, ma senza un apriscatole.
Ovviamente, si chiedono in che modo potrebbero aprirla.
L’ingegnere: “Colpiamo la lattina con un sasso.”
Il fisico: “Accendiamo un fuoco per scaldare la lattina per aumentare la pressione interna e farla esplodere.”
L’economista: “Ipotizziamo di avere un apriscatole…”.
Questa è la prima barzelletta che uno studente di economia impara frequentando il corso di laurea. Nulla di nuovo, allora. Gli economisti hanno sempre avuto la consapevolezza che la loro disciplina non è una scienza esatta e quindi non dobbiamo meravigliarci se nessuno ha previsto la crisi e nessuno sa bene come e quando ne usciremo. Ciò che invece è assai meno scontato è il riflesso di questa crisi sugli istituti fondanti l’economia.
In particolare, credo che questa crisi abbia messo in discussione, una volta di più, il fondamento antropologico dei modelli economici del secolo scorso. Provo a riassumere il concetto: ogni individuo, per sopravvivere, ha bisogno dei suoi simili. La collaborazione di questi può essere sollecitata attraverso elementi di carattere solidaristico, ma questa leva in genere rischia di ottenere ben poco. Infatti, nell’interazione sociale, il nostro simile è sostanzialmente un cosiddetto “homo economicus”. L’uomo, nella teoria economica classica, è considerato come un’entità le cui principali caratteristiche sono la razionalità e l’interesse esclusivo per la cura dei suoi propri interessi individuali. L’homo economicus cerca sempre di ottenere il massimo vantaggio per se stesso, a partire dalle informazioni a sua disposizione, siano esse naturali o istituzionali, e dalla sua personale capacità di raggiungere certi obiettivi. In altre parole, questi individui perseguono un certo numero di obiettivi cercando di realizzarli nella maniera più ampia possibile e con i costi minori. La nozione di utilità è sovente associata in economia a quella di benessere. Ne consegue che la somma delle utilità degli individui di una determinata società viene considerata come benessere sociale.
L’attuale crisi ha mostrato con tutta evidenza i limiti di questo modello. L’utilità dei singoli ha apertamente cozzato con quella della collettività, i comportamenti d’acquisto si sono basati più sull’ignoranza e il desiderio che non sulla razionalità, il mercato ha evidenziato la necessità di regole e l’incapacità di autoregolarsi autonomamente. Quando una cultura prevalentemente orientata verso l’egoismo individualista ha avuto il sopravvento, la presunta capacità razionale dei soggetti ha mostrato tutti i suoi limiti.
Il modello di homo economicus non ha reso conto del conflitto interno nel mezzo del quale gli individui reali si trovano, come ad esempio quello fra scelte a breve termine e scelte a medio termine o tra obiettivi individuali e valori sociali.
Sicuramente usciremo da questa crisi diversi da come vi siamo entrati. Forse con meno aspettative verso un modello di homo economicus più teorico che reale. Forse con un atteggiamento di maggior ascolto verso l’originalità di un individuo sempre “singolare”, mai riducibile ad un solo rigido modello interpretativo.