LA DIFFUSIONE DELLA PATATA
La patata è originaria dell’America centrale, dove era coltivata presso le culture Mesoamericane e Andine. Ha fatto un lungo viaggio dall’America nei forzieri del tesoro dei Conquistadores e fu introdotta in Europa dopo i viaggi di esplorazione e di conquista dei secoli XV – XVI, ma rimase a lungo confinata negli orti botanici come rarità, per poi trovare una prima diffusione solo come cibo per animali. Quando fu importata in Europa dal Perù, infatti, la patata non incontrò il favore della popolazione, anzi fu a lungo aborrita e consumata solamente da chi vi era costretto. I motivi di tale avversione erano molti: ad esempio, la sua forma bitorzoluta ricordava le eruzioni della lebbra. Inoltre l’originario color vinaccia della buccia era mal visto. Ma anche il fatto che invece di nascere dai fiori o dai rami degli alberi cresceva nelle profondità della terra restava inspiegabile, e come se tutto questo non bastasse, non era mai stata citata nella Bibbia. Tutto questo creò intorno all’innocuo tubero un alone diabolico, tanto che ci furono esorcismi, processi e condanne al rogo ai danni di sacchi di patate. In Russia si preferì a lungo morire di fame piuttosto che cibarsi del “frutto del diavolo”. In Europa quindi, fino alla fine del seicento la patata si era imposta solo come cibo per gli animali ed era considerata un cibo assai poco gradevole. Per dirla con Diderot, “comunque la si cucina, è farinosa e insipida”. Il Sei – Settecento però fu anche un lungo periodo di gravi carestie e di fame, e il tubero importato dall’America avrebbe potuto risolvere molti problemi di denutrizione: bisognava soltanto convincere la gente a servirsene. Inizialmente le resistenze furono moltissime. Per superare queste difficoltà nel regno prussiano e in Francia si adottarono strategie opposte. In Prussia la diffusione della patata avvenne in modo coercitivo: nell’anno 1651 fu emanato un editto in cui si condannava al taglio del naso e delle orecchie chiunque si fosse rifiutato di coltivare le patate. Federico II nel Settecento favorì poi la coltura del tubero bonificando e disboscando larghi appezzamenti di terreno purché fossero coltivati a patate. Ma comunque ” incoraggiò” sempre i contadini a coltivare patate con il sostegno dei dragoni armati. Nonostante i metodi utilizzati, la gratitudine del popolo tedesco per il sovrano è ancora viva, tanto che i visitatori a Potsdam pongono tuttora patate sulla sua lapide in segno di ringraziamento.
In un Paese come la Francia, che si avvicinava alla Rivoluzione, fu invece scelta la strada della persuasione. Antoine-Augustin de Parmentier, chimico e agricoltore che aveva avuto in Germania l’occasione di saggiare in prima persona le qualità gastronomiche e nutritive dell’alimento, pianificò un’accurata strategia: convinse il re e i nobili della corte a coltivare patate nei loro orti e fece mettere guardie che ne proteggessero i recinti – la proibizione, si sa, fa nascere il desiderio. Durante la notte, però, i soldati venivano ritirati: gli agricoltori della zona, spinti dalla curiosità, trafugavano campioni di tuberi, e ne sperimentavano spontaneamente la coltivazione. Parmentier, a questo proposito, riuscì a convincere il re a lasciargli piantare a patate un terreno sabbioso in periferia di Parigi, noto per la sua sterilità, per dimostrare la facilità di coltivazione di questo tubero. Quando il campicello di patate fu in fiore, ecco il potere delle raccomandazioni: Parmentier ne offrì un mazzolino al re, che lo accettò pubblicamente, mentre Maria Antonietta se ne metteva uno nei capelli. In più, il re si espresse pubblicamente rivolgendosi a Parmentier: “La Francia un giorno le sarà grata per aver trovato un pane per tutti i francesi”. Un gradimento ufficiale che mise in moto tutta una catena di produzione consumo, tale da imporre la patata in Francia e in quei Paesi che ancora ne respingevano l’uso. Parmentier inoltre persuase i sovrani a sfoggiare fiori di patata per inghirlandare abiti e capelli: ben presto la moda di Versailles si trasformò in moda popolare. Infine, questa intensa campagna di promozione culminò con il grande evento del 1767: la cena delle patate. Organizzata nella reggia di Versailles alla presenza di nobili e illustri ospiti, anche stranieri, la cena era strutturata secondo un menu di venti piatti diversi, tutti a base di patate. Il grande e ben pianificato risalto che i giornali dell’epoca (compreso l’autorevole “Mercure de France”) diedero all’avvenimento sortì gli effetti sperati: quando Parmentier iniziò la coltivazione su larga scala, gran parte del raccolto fu depredato dalle folle. Il gioco era fatto.
Storia o leggenda che sia, i casi di marketing ante litteram sono moltissimi, così come quelli che evidenziano le incredibili possibilità di una buona campagna di comunicazione. Venendo ai giorni nostri, nel 2008 l’azienda che produce i cereali Shreddies − molto popolari in Gran Bretagna e Canada – lancia sul mercato una nuova versione del prodotto: “Diamond Shreddies”. Fin qui niente di nuovo. Il punto è che il prodotto non è minimamente cambiato rispetto all’originale. Sulla confezione i singoli cereali − da sempre quadrati − sono posizionati a rombo. Una semplice rotazione e addio vecchi Shreddies. E’ tempo di nuovi, gustosi cereali dalla forma a “diamante”. Un esempio di riposizionamento interamente basato su valori intangibili per rilanciare i cereali per la colazione come un prodotto del tutto nuovo sul mercato: packaging, nome e campagna pubblicitaria basta sull’ironia hanno fatto il resto. I consumatori, nel corso dei test prima del lancio del prodotto, dichiaravano di trovarlo “più attraente e appetitoso”. Di sicuro in questo caso ci sono aspetti al limite del paradossale, ma proviamo a ricavarne uno spunto per il futuro. Nel lancio, o nel riposizionamento di un prodotto, diventano sempre fondamentali tutti quegli aspetti, apparentemente meno concreti, che invece possono avere un grande valore per i consumatori. Se ci pensiamo, il segreto del successo dei social network è questo: condividere un successo, ma anche un fallimento, qualcosa che ci ha divertito o commosso. Qualcosa di intangibile eppure di grande valore. Oggi sempre più si parla di buzz marketing e di posizionamento dei brand sulla rete. Il buzz marketing è la strategia di posizionamento di brand e prodotti che si fonda sul valore delle conversazioni on line. Milioni di utenti dialogano ogni giorno in rete per scambiarsi opinioni su prodotti e servizi. Chi fa buzz marketing parla dei propri prodotti in rete e lo fa all’interno di ambienti informali come blog e forum, dove tutti possono intervenire. L’interazione diretta con l’utente e tra gli utenti genera nuovo rumore intorno ai prodotti di cui si parla. Questo rumore cresce a portata di click. Diventa quindi fondamentale monitorare questa crescita e stimolare nuove discussioni intorno al brand. La costruzione dell’identità digitale da parte delle aziende passa necessariamente attraverso il dialogo aperto, semplice e trasparente con gli utenti e condotto nel rispetto delle regole del Web. Per comunicare la propria brand identity sui molteplici canali online è dunque sempre più necessario un connubio stretto tra tecnologia e studio della comunicazione, che oggi si concretizza nella figura del reputation manager, nuova professionalità in grado di studiare una strategia di dialogo ad hoc tra l’azienda e gli utenti sulle diverse piattaforme e contesti del web 2.0. Avendo però sempre in mente la lezione di Parmentier…