L’EFFETTO KULESHOV, OVVERO LA PERCEZIONE AL POTERE!
Il regista sovietico Lev Kuleshov nel 1918 illustra, con un esempio provocatorio, come l’efficacia del linguaggio cinematografico risieda principalmente nel montaggio, al punto che una medesima espressione produce effetti psicologici diversi nel pubblico se combinata con oggetti diversi.
Kuleshov nel 1918 gira un cortometraggio in cui lo stesso identico primo piano dell’attore Ivan Mozzhukhin, viene mostrato alternativamente a tre diverse inquadrature: un piatto di minestra, il cadavere di un bambino, una donna seminuda.
Interrogato, dopo la visione della pellicola, il pubblico dichiara di avere chiaramente visto sfumature diverse sul viso dell’attore, frutto della sua interpretazione. In base all’immagine che l’attore stava guardando, gli spettatori compresero che: aveva fame (il piatto di minestra), era sconvolto (il cadavere del bambino) o provava desiderio (la donna poco vestita).
In realtà nel cortometraggio l’immagine dell’attore è sempre la stessa e viene girata senza che l’attore stia guardando nulla. Le immagini della minestra, del cadavere del bambino e della donna in abiti succinti, sono semplicemente alternati all’immagine dell’attore che guarda in macchina.
Siamo noi spettatori che vogliamo cogliere una connessione tra l’immagine precedente e quella successiva e che crediamo d’intuire una diversa espressione dell’attore in relazione a ciò che noi supponiamo stia guardando.
In realtà, come abbiamo detto, l’espressione dell’attore è sempre la stessa.
Kuleshov, dal punto di vista cinematografico, dimostra che un piano isolato non ha nessun senso, ma lo prende invece da ciò che lo segue o lo precede. Lo spettatore stabilisce, infatti, un legame logico tra due inquadrature che si succedono, anche se non hanno necessariamente una connessione diretta.
Questo fenomeno dovrebbe dire qualcosa anche a chi si occupa di risorse umane. Noi non lavoriamo sui dei dati di realtà ma sulle percezioni delle persone. Non dimentichiamocelo mai.
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