FUGA ALL’ESTERO
Romain Seignovert, francese, ha scritto tempo fa un libro, intitolato «De qui se moque-t-on?» (Chi prendiamo in giro?). Sui tratta di una raccolta di 345 barzellette di europei su altri europei. Nulla più del riso racconta quello che siamo. Osservare chi prendiamo in giro rivela molto della nostra visione del mondo.
E dunque:
- gli estoni sfottono i finlandesi perché troppo timidi («Come riconosci un finlandese estroverso? Quando gli parli guarda le tue scarpe, non le sue»);
- i macedoni se la prendono con la mancanza di machismo degli uomini greci («Un greco dice alla moglie: “Se sapessi cucinare e pulire la casa non ci servirebbe una domestica”. La moglie: «Se tu sapessi fare l’amore, non avrei bisogno di un amante macedone»);
- i tedeschi se la prendono coi polacchi, bollati come ladruncoli («Quando arriva il Natale in Polonia? Due giorni dopo che in Germania»);
- tutti i britannici contro gli scozzesi, definiti di manica molto stretta («Un inglese, un irlandese e uno scozzese danno una festa. “Io porto sei pinte di bitter”, dice l’inglese; “io sei di Guinness”, dice l’irlandese. “Ok”, dice lo scozzese, “io porto sei amici”);
- i belgi con i francesi («Come si suicida un francese? Si spara 15 centimetri sopra la testa, esattamente al centro del suo Ego»);
- quasi tutti con i belgi, visti come non esattamente brillanti («Cosa fa un belga se l’acqua in cui sta lavando il figlio è rovente? Mette dei guanti»).
Molte di queste barzellette potrebbero raccontarcele tutti i nostri connazionali in fuga dall’Italia. Dal 2008 al 2016 più di 500mila connazionali, infatti, si sono cancellati dall’anagrafe per trasferirsi all’estero. Al primo posto tra le destinazioni dei nuovi emigrati italiani c’è la Germania, seguita da Regno Unito e Francia.
Molti di questi sono giovani precari senza prospettive continuative e stabili di lavoro in Italia (la famosa “fuga di cervelli”), altri sono ragazzi che vogliono imparare una lingua e vedere il mondo (si sta riprendendo una prassi in voga nell’ottocento tra la nobiltà ricca, dove il giovane prima di iniziare la vita adulta veniva mandato in giro per l’Europa “per capire le cose del mondo”).
Vi sono poi i veri e propri emigranti, versione dei nostri vecchi emigranti di inizio novecento, meno disperata ma altrettanto depressiva. Oltre a queste tre tipologie, vi è anche l’espatriato mandato all’estero dalla propria azienda per sostenere il suo sviluppo internazionale. In genere trattato molto bene dal punto di vista retributivo, quest’ultimo caso fa riferimento a una tipologia che ha poco a che fare con le altre categorie di persone che scelgono la via dell’esilio.
Nell’osservare questo fenomeno dobbiamo quindi abbandonare facili categorizzazioni e analizzare le nuove dinamiche del lavoro. Perché vogliamo vivere in un mondo aperto, senza muri, integrato e interculturale. E il nostro sistema economico può svilupparsi solo se si apre a questo mondo, economico, sociale, culturale. Senza nasconderci le difficoltà ma anche senza fare di tutte le erbe un fascio unico.