LA SOCIETA’ BASATA SUL RIPOSO
Viviamo in un contesto sociale dove, nella percezione collettiva, il successo non è frutto del lavoro ma può essere ottenuto “dopo” il lavoro se non addirittura “malgrado” il lavoro. Per i baby boomers, e ancor di più per la generazione che li aveva preceduti, il lavoro era il momento della socialità adulta e la leva per ottenere indipendenza personale, un modo di realizzarsi e non mere catene cui essere assoggettati, nostro malgrado. Ora la «cultura del lavoro» si contrappone a una «cultura del sociale» che porta talvolta persino all’anti-socialità personale, preferendo quella della rete. A questo continuo a preferire la cultura del lavoro con cui sono cresciuto. Dal mio punto di vista il lavoro rimane la base d’integrazione sociale e la fonte di ogni ricchezza duratura e di ogni speranza di progresso civile, economico e sociale. Riaffermare la centralità del soggetto e del lavoro come fonte di scambio tra uguali, vuol dire porre il tema della libertà nel lavoro e grazie al lavoro. Affermare, ad esempio, che un lavoro ben fatto vale in quanto tale, vuol dire porre la nostra identità al centro di una vita responsabile, in grado di dare senso alle cose.
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