FAB WORKING, SETTIMANA CORTA E CHI PIU’ NE HA, PIU’ NE METTA
C’è una vecchia barzelletta sul golf che, più o meno, suona così:
Un imbroglione e il suo gorilla di 450 chili convincono uno sprovveduto golfista a scommettere 1.000 dollari che non riuscirà a battere il gorilla in una partita di golf. Sicuro di sé, il golfista accetta la scommessa e poi guarda attonito il gorilla che tira un drive da 400 metri: la pallina si ferma a quindici centimetri dalla buca.
L’imbroglione ridacchia e dice: “Te l’avevo detto che questo gorilla sa giocare a golf. Senti, mi sembri una brava persona. Dammi 500 dollari e annulliamo la scommessa”.
Il golfista sollevato accetta l’offerta e acconsente a finire la partita per divertimento.
Mentre si avvicinano al primo fairway, il golfista chiede: “A proposito, com’è il putt del gorilla?”
L’imbroglione risponde: “Esattamente come il drive. Dritto come una freccia, e per 350 metri!”
Come ben sanno i golfisti, non è possibile colpire ogni palla allo stesso modo. Il punto è che, per essere un buon golfista, è necessario essere abbastanza flessibili ed esperti da riuscire a giocare in maniera diversa a seconda della situazione, con strumenti differenti e in modo adeguato al tipo di terreno, alla distanza dalla buca, all’avversario contro cui si sta giocando e a tutte le altre variabili in gioco.
Lo stesso vale anche per chi gioca altre partite, come la gestione delle persone nelle organizzazioni.
Il tema dello smart working è solo all’inizio (per ora solo il 14% dei lavoratori italiani lavora in smart) e già si pensa ad altre forme di organizzazione del lavoro e dell’orario. Nestlè ha raggiunto un interessante accordo sindacale per il FAB working, il lavoro flessibile, che viene disegnato da ogni singolo gruppo di lavoro valutando i compiti e la tipologia di attività da svolgere e che può eventualmente essere ripensato di volta in volta in base alle esigenze. Qualcosa di non troppo dissimile è stato realizzato anche in altre aziende.
Altre imprese hanno invece introdotto la settimana corta. In Banca Intesa, su base volontaria, si può lavorare per nove ore su quattro giorni alla settimana, con una riduzione dell’orario di lavoro a 36 ore settimanali contro le attuali 37,5 a parità di retribuzione. In altre realtà si sta introducendo la settimana corta (fino al venerdì a pranzo) a parità di retribuzione, come già in essere, ad esempio, in alcune organizzazioni del settore assicurativo. Sulla scorta di Banca Intesa, anche Lavazza, come ricorda Repubblica, ha proposto un modello simile: i dipendenti, se lo desiderano, possono uscire in anticipo il venerdì, mantenendo intatto lo stipendio. Chi invece tocca il salario riducendolo (ma meno che proporzionalmente) è la casa di moda spagnola Desigual e alcune altre PMI, soprattutto di servizi.
E’ il frutto di lunghe lotte sindacali? Non sembrerebbe, visto che il sindacato ormai da molti anni non chiede più riduzioni di orario a parità di retribuzione. Si tratta solo di una moda? Probabilmente no. Io credo che si tratti del tentativo di rincorrere le richieste di una popolazione sempre più insofferente ai vincoli imposti dall’organizzazione. Nelle persone vi è un anelito di libertà, un bisogno di senso e di autorealizzazione a cui noi dobbiamo assolutamente cercare di dare risposta. Questa risposta non può però consistere semplicemente in una riduzione delle giornate di lavoro. E’ necessario un più ampio e profondo ripensamento dell’organizzazione e dei rapporti all’interno di questa, facendo attenzione a conciliare libertà e felicità con i vincoli aziendali di produttività e sostenibilità economica.